“Uno nessuno e centomila” al teatro Quirino (Roma 10-15 gennaio 2023)

La visione del mondo di Luigi Pirandello affonda le sue radici nel più estremo spiritualismo, nemico giurata del materialismo, e di tutti i lacci sociali, che irretiscono la libera espressione spirituale dell’uomo. L’ultimo suo romanzo – UNO NESSUNO E CENTOMILA-  è, secondo lo stesso autore, il suo romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”. 

Questa, in estrema sintesi, la sua trama.   Vitangelo Moscarda –  figlio di un banchiere con fama di usuraio dal quale ha ereditato una banca – accorgendosi casualmente che il suo naso pende verso destra, incomincia a percorrere un viaggio in cui scopre di non essere, per gli altri, quello che crede di essere. Cercherà quindi di distruggere le molte immagini che gli altri vedono di lui, fino a diventare aria, vento, puro spirito.   Per affrancarsi da “tutte le rabbie” del mondo (l’eros, la violenza, il denaro) distrugge lo sciocco Gengè (tanto desiderato dalla moglie Dida) e la società bancaria.  E alla fine si ritrova in un “ospizio di mendicità” edificato da lui stesso con il denaro ottenuto dalla liquidazione della banca, e offerto in beneficenza a tutti i poveri e agli sperduti come lui.  La sua nuova vita sembra davvero la vita pura di un angelo.  

Siamo dinanzi a un romanzo che – come sottolinea giustamente il regista Antonello Capodici – è “attualissimo nella descrizione della perdita di senso che l’Uomo contemporaneo subisce a fronte del sovrabbondare dei macro-sistemi sociali (dallo Stato alla Famiglia, dall’istituto del Matrimonio al Capitalismo, dalla Ragione alla Follia) che finiscono con l’annullarlo, inglobandolo. Oggi parleremmo di “disfunzionalità” e “disturbi del comportamento”.   Pirandello, infatti, anticipando di decenni le conclusioni della “Gestalt”, descrive, in realtà, dei sintomi.  Scopre una vasta rete di disturbi e nevrosi (personalità istrioniche, disturbi “borderline”, manie compulsive, ansie da controllo, disfunzionalità dell’umore, bipolarismo) epitome di un più ampio malessere, che contagia le società moderne come, tutt’oggi, le intendiamo”. 

Nella sua messa in scena a Roma, al teatro Quirino, Pippo Pattavina – furente doppio di sé stesso nelle vicende più dolorose – è lo spensierato narratore in “flash-back”.   Invece Marianella Bargilli interpreta, sia la moglie Dida, sia la “quasi amante” Maria Rosa, “provocantemente ingenua, in maniera speculare, costretta com’è nel suo disturbo evitante”.   “La scena – sottolinea il regista – è abbacinante. Di un bianco perfetto, luminoso, totale. Una scatola bianca. La mente del Protagonista, certo.  Ma anche una cella, una stanza d’ospedale o di manicomio. E’ un luogo “non-luogo”, che però si riempie subito di visioni.  E non tragga in inganno la struttura tradizionale del romanzo d’origine. Rimane la libertà del racconto. La forza redentrice del relativismo, il sollievo del ridicolo. Narrazione /interpretazione / esposizione: le atmosfere oniriche, le evocazioni. Lo smobilitamento finale del trauma, che rimanda alle moderne tecniche dell’MDR”.

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