TRANNE ECCEZIONI BEN PRECISATE, TUTTO QUELLO CHE E' LEGGIBILE IN QUESTO BLOG E' SCRITTO SOLO DA SILVANA PARUOLO – Il Blog riguarda Politica internazionale e Cultura: attualità, politiche UE e UE nel mondo (V. libri di Silvana Paruolo 2020: la nuova UE L'UE tra allargamento e vicinato, crisi, verticite, vecchie e nuove strategie Ed. LULU 201O e Introduzione all'Unione europea Oltre la sfida del 2014 – Ed. Il mio libro-Feltrinelli 2014) ma anche – grazie alla mia iniziativa non profit Appuntamenti europei a Roma – le Letterature per l'infanzia e la gioventù.
Appuntamento a Londra – diretto da Ilenia Costanza, con Guido Lomoro e Enzo Piscopo – è la storia dell’incontro, in un noto albergo londinese, tra un ricco uomo d’affari peruviano e una donna, che si presenta come la sorella del suo vecchio amico d’infanzia, sparito per ragioni mai svelate. In un susseguirsi di colpi di scena, l’identità della donna si fa sempre più ambigua ed inquietante.
Nasce un thriller – un gioco pericoloso – che rivela verità scomode.
Prendendo spunto dal famoso programma RAI “Chi l’ha visto” le autrici-attrici, con ironia e disincanto, si chiedono se tutte le persone scomparse vogliano davvero essere ritrovate. Ne nasce una carrellata di situazioni paradossalmente comiche, ma anche uno sguardo cinico sulla realtà.
In una dimensione internazionale complessa – dominata da rigurgiti nazionalisti, intolleranza religiosa, razzismo, ecc. – questo dramma di /da Shakespeare è di drammatica attualità.
Cosa spinge le persone a cadere nelle mani di un tiranno? Perché non ci si sottrae collettivamente alla violenza e alla sopraffazione? Perché la sfrenatezza è affascinante?
“Il viaggio di Riccardo III, qui interpretato da Paolo Pierobon – sottolinea la regista unghereseKriszta Székely – dev’essere per tutti noi un esempio di quanto l’ardore e la ricerca sfrenata del potere non conosca limiti umani, e che chi pecca di prepotenza alla fine sarà prigioniero del proprio inferno. Si tratta di una parabola. Un esempio. Uno specchio insanguinato, una preghiera oscura con la speranza di un mondo migliore».
RiccardoIII e’messo in scena in una chiave, moderna e innovativa (anche per le scenografie multimediali): sorprendente, e anche scioccante per gli amanti della tradizione. Ne deriva uno spettacolo capace di catturare l’attenzione per la sua dimensione brillante, e da thriller che crea suspence, in una ben nota storia ( di sete di potere, corruzione violenza e spregiudicatezza, false promesse e tradimenti) del passato, con maestria, per certi aspetti aggiornata ad oggi. Interessante quindi l’immersione della (nota e pur atemporale) dinamica del potere, nei giorni nostri. Non mancano riferimenti alla Russia, all’Iran, alla Cina, alle fake news, alla difesa dei diritti umani, a armi e pace, all’apparizione sulla scena di tanti nuovi Riccardi III, e ad altri aspetti della nostra era. Bravissimi tutti e – ovviamente – il grande PaoloPierobon e la regista.
Così è (se vi pare) è un’opera teatrale di Pirandello, tratta dalla novella La signora Frola e Il signor Ponza, suo genero.
Protagonista assoluto della scena è il fatto che la verità assoluta non esiste, e che la verità è per ciascuno “come pare”.Come conclude la signora Ponza “…io sono colei che mi si crede”. “Ed ecco, o signori – conclude Laudisi – come parla la verità…Siete contenti?” (Scoppierà a ridere…)
In sintesi, questa la trama. La vita di una tranquilla cittadina di provincia viene scossa dall’arrivo di un nuovo impiegato, il Signor Ponza, e della suocera, la Signora Frola, scampati ad un terribile terremoto nella Marsica. Si mormora, che assieme ai due sia giunta in città anche la moglie del Signor Ponza, anche se nessuno l’ha mai vista. Da qui l’affannosa ricerca della verità sulla signora Ponza: e viva? E morta? Quali sono i suoi legami con Ponza e la signora Frola?
Passando alla sua messa in scena al Quirino di Roma… “Ho chiesto – sottolinea il registaGeppy Gleijeses – a un grande videoartist, Michelangelo Bastiani, di creare degli ologrammi assolutamente tridimensionali, donnine e omini alti 60 centimetri. All’ingresso della Frola, quegli esserini li rivediamo in dimensioni normali. Piccoli uomini e donne che riprendono le loro reali fattezze di fronte alla grandezza e all’amore di una madre. La scena (di Roberto Crea) è un buco nero, come lo aveva visto nel suo incubo Pirandello, disseminato di specchi, un labirinto di specchi, come in un terribile parco di divertimenti. O forse come ne “La signora di Shangai” di Orson Welles. Da quegli specchi (specchi piuma, che se illuminati anteriormente sono specchianti, ma se retroilluminati perdono la caratteristica dello specchio per diventare vetro trasparente) scompaiono e a volte compaiono la signora Frola, il signor Ponza e la signora Ponza. E Laudisi con quegli specchi gioca e spaventa il cameriere, perché lui sa che la verità assoluta non esiste, che ognuno ne ha una propria, che è vero solo quello che crediamo sia vero. Il resto è sogno, incubo, illusione. Specchi e fantasmi, quelli che popolano da sempre e per sempre la mente di Luigi Pirandello. I filtri, tutti i filtri, attenuano la fisicità dei protagonisti, ma non la sofferenza. Il dolore è dolore vero. E senza remissione. Le musiche di Teho Teardo sono astratte e dissonanti, e diversamente non poteva essere. I dodici attori, a cominciare da Milena Vukotic, Pino Micol e Gianluca Ferrato sono impagabili. La sofferenza è anche loro? La loro MASCHERA, come voleva Jung, dietro “l’inconscio collettivo”, il dolore, o piccole scorie di esso, ti restano appiccicate addosso, anche al calar della tela”.
Federico García Lorca – grande poeta, drammaturgo e regista teatrale (a livello internazionale emblema della generazione del’ 27 che introdusse le avanguardie, quali simbolismo futurismo e surrealismo, nella letteratura spagnola) – dichiarato sostenitore delle forze repubblicane, durante la guerra civile spagnola, fu fucilato da uno squadrone delle forze nazionaliste. Il suo corpo fu poi gettato “in un burrone ad alcuni chilometri alla destra di Fuentegrande”. I suoi resti non sono mai stati trovati.
Sul palco dell’OFF/OFF Theatre, la protagonista Caterina Vertova e Marco Carniti, co-interprete e regista – attraverso materiali poetici, teatrali e di cronaca – ricostruiscono la storia del suo assassinio,
“Cerco mio figlio, un figlio importante, un grande poeta. Si chiama Federico” sono le parole di Vicenta Lorca Gonzalez; sua madre.
E – in scena – Vicenta Lorca Gonzalez è evocata dalla bravissima e intensa Caterina Vertova, con un viaggio nel tempo, e attraverso le sole parole del poeta.
Teatrale nelle poesie e poeta nel teatro, Federico García Lorca lancia un GRIDO SU ROMA che riapre una discussione sulle colpe della Chiesa Cattolica.
Nella Sicilia, 1862 – mentre sull’Italia soffiano i venti del nuovo Regno che si prepara ad unificare la penisola – nei palazzi nobiliari l’artistocrazia decadente partecipa a balli e banchetti, come se niente potesse cambiare le sue abitudini..
Ma – mentre nei lussuosi saloni soprastanti si consuma l’ennesimo opulento banchetto – nelle cucine del palazzo si azzuffano i cuochi, si tirano padelle ma soprattutto si svelano amori impensabili.
Così, Amori e sapori nelle cucine del principe si dipana tra rivelazioni, e succulenti litigi, attraverso lo scontro di Teresa – la cuoca ( ex-prostituta prediletta del principe da cui e’nato un figlio) – e Monsù Gaston (cuoco mandato in aiuto dallo stesso principe).
Si ringrazia Elena Paruolo per questo suo contributo
La vita davanti a sé di Romain Gary è la storia di Momò, bimbo arabo di dieci anni che vive nel quartiere multietnico di Belleville nella pensione di Madame Rosa, anziana ex prostituta ebrea che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli “incidenti sul lavoro” delle colleghe più giovani.
Commovente e attualissimo, il romanzo affronta, quindi, un importante tema tuttora all’ordine del giorno, e cioè, la convivenza tra culture religioni e stili di vita tra loro diversi. E si conclude con delle parole che – oggi più che mai – dovrebbero essere una bussola: Bisogna voler bene.
Con naturalezza, il grande Silvio Orlando diventa quel bambino nel suo dramma. Da qui…. un autentico capolavoro, caratterizzato da commozione e divertimento.
Si ringrazia Elena Paruolo per questo suo contributo.
I Mummenschanz – per festeggiare i loro 50 anni – hanno portato a Salerno uno spettacolo originale, difficile da classificare, ricco di poesia, bellezza, gioco. I fondatori del gruppo – Floriana Frassetto, Andres Bossard e Bernie Schürch – hanno conquistato il mondo intero con le loro storie esclusivamente visive, senza parole né musica nè sottotitoli
Nello spettacolo – ricerca di quel mondo bambino che è nel profondo di ognuno di noi – il pubblico è giocosamente preso per mano, e accompagnato in un viaggio fantastico. Grazie alla maestria e ironia di cinque attori, maschere d’argilla, volti realizzati con rotoli di carta igienica, fragili giganti d’aria, l’uomo tubo e altre forme grottesche diventano i personaggi di un mondo (senza confini) frutto di genialità e inventiva.
Mummenschanz – spiega Floriana Frassetto (cofondatrice, costumista e coreografa del gruppo) – rappresenta un “gioco di possibilità”, il tentativo di raccontare una storia attraverso la potenza creativa del linguaggio non verbale dei corpi e delle forme.
E sicuramente interessante è stata anche la possibilità di dialogare con il cast – presso il teatro – nel quadro degli abituali incontri “Giù la maschera” coordinati dal giornalista Peppe Iannicelli.
I Mummenschanz – vi ha precisato Floriana – è una parola tedesca, usata per descrivere giochi di strada, legati al carnevale. Tra gli ispiratori del gruppo, c’è stato Jacques Lecoq, il maestro che ha contribuito moltissimo a diffondere il mimo e l’uso delle maschere. Successivamente – differenziandosi da Lecoq – il gruppo ha inventato una maschera flessibile, che si trasforma, e che richiede un grande lavoro di preparazione ad ogni spettacolo.
Floriana definisce gli attori del gruppo giocolieri di maschere che coprono tutto il corpo.
E precisa: “Quando si è nelle grandi forme che si vedono sul palcoscenico, la corporeità è assoluta ed è in questo modo che si cerca di trasmettere emozioni, e di far sognare”.
Utilizzando il silenzio per comunicare, il loro spettacolo – caratterizzato quindi da un ritmo silente – vuole essere una critica all’eccesso di comunicazione nella società odierna.
I Mummenschanz fanno spettacoli in tutto il mondo. E – ha notato ancora Floriana – “i pubblici con i quali ci siamo confrontati sono tra loro molto diversi: molto partecipativi, e chiassosi, gli spettatori in Germania, Svizzera, America, molto silenziosi invece gli Italiani!”.
Si ringrazia Elena Paruolo per questo suo contributo.
Gran bello spettacolo quello in scena a Salerno. E sicuramente d’effetto le grandi ombre multimediali con cui inizia e si conclude.
Il berretto a sonagli (1916) e’una commedia del grande Luigi Pirandello (1867-1936). Il titolo si riferisce al berretto del buffone che – nello stesso tempo – diventa simbolo dello scorno pubblico a cui viene sottoposto il protagonista Ciampa e metafora dell’impossibilita’ di mostrare il proprio vero io alla collettività.
In estrema sintesi, questa la sua trama. Beatrice Fiorica viene a sapere dalla cosiddetta Saracena che suo marito il cavaliere Fiorica ha una tresca con Nina, giovane moglie del suo scrivano Ciampa. Dopo una sua denuncia che non dara’gli esiti da lei desiderati, Beatrice sara’indotta a farsi credere per un breve periodo “pazza da chiudere” per porre fine allo scandalo, ed evitare morti.
Come le dira’ Ciampa: e’ “per il suo bene! E lo sappiamo tutti qua che lei e’ pazza. E ora deve saperlo tutto il paese. Non ci vuole niente sa, signora mia non s’allarmi! Niente ci vuole a fare la pazza creda a me! Glielo insegno io come si fa. Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verita’. Nessuno ci crede,e tutti la prendono per pazza”.
Il berretto a sonagli – precisa Gabriele Lavia – “e’una tragedia della mente. Ma porta in faccia la maschera della farsa. Pirandello mette in scena uno di quegli uomini invisibili, senza importanza schiacciato nella morsa della vita e, poiche’ e’un niente e’ trattato come se fosse niente. E sul nostro palcoscenico “come trovati per caso”: un vecchio fondale “come se fosse abbandonato” e pochi elementi, “come relitti” di un salottino borghese e “per bene”, dove viene rappresentato un banale “pezzetto” di vita di una “famiglia perbene” che fa i conti con l’assillante angoscia di dover essere “per gli altri”, di fronte agli altri”.
E’proprio il “si dice” ad “essere” la stessa sostanza identitaria del proprio “io”. L’unica speranza e’la difesa dell’io.
Ma come difenderlo? Ciampa usa spranghe alle porte e catenacci. Ma e’ costretto a uscire ed esistere. E allora – precisa il regista – la “corda civile” e la “corda seria” non servono piu’. E’ la “corda pazza” che scatta. E scatta per tutti. Non si puo’ difendere il proprio io dagli attacchi del mondo. Non e’ possibile uscire dal mondo, uscire da noi stessi. Se lo facciamo siamo morti viventi”.
Interessante anche – dopo la prima – l’abituale appuntamento con pubblico e stampa (“Giu’ la maschera” coordinato dal giornalista Peppe Iannicelli) in cui il maestro Lavia, riferendosi alla poetica della sua messa in opera di un testo si e’ tra altro definito “infedelissimo nella fedelta’”.
Perche’mettere in scena Pirandello?
Normalmente – ha precisato Lavia (regista e interprete di Ciampa) – “non scelgo. Sono scelto. Giro per casa. Giro. Mi giro su me stesso. Punto un dito. E una volta deciso, mi chiedo: ‘perche’ questo testo?’. Il berretto a sonagli e’ un capolavoro della drammaturgia europea e, oserei dire, dell’impressionismo tedesco. Non a caso nel mio spettacolo uso le maschere. Pirandello ha studiato a Bonn e ha avuto rapporti con un teatro non fatto come veniva fatto in Italia. A differenza di Giovanni Verga (scrittore verista) e’ un impressionista. Fu molto colpito dal romanzo L’uomo che vendette la sua ombra. (1814) di Peter Schlemihl”.
“La dimensione ombra ‘ – ha precisato ancora Lavia – e’il nostro guaio. Il problema e’il corpo e non l’anima. Noi facciamo ombra. Siamo un corpo. E l’uomo e’condannato a rappresentarsi. Anche se cerca di esser naturale, nello stesso tempo, fatalmente per essenza si rappresenta. Ognuno, nel momento in cui si veste, ed esce di casa recita una parte”.
Il berretto a sonagli e’passato alla storia per le tre corde (la civile la seria e la pazza). Ma un ruolo importante vi assume la donna,vera e propria protagonista. Siamo davanti a un dramma amarissimo, e non una commedia. E’quasi una tragedia, che finisce con la morte civile di una donna, indotta a dichiararsi pazza perche’si e’permessa di contravvenire a una regola fondamentale della microsocieta’ – la famiglia – nella grande societa’. Il suo unico diritto e’quello di esser moglie di un altro. Come le fa notare il fratello dopo la sua denuncia non ha piu’uno status, non e’ne’moglie ne’vedova. Durante l’incontro, il regista ha enfatizzato anche questo aspetto.
Si ringrazia Elena Paruolo per questo suo contributo.
Questa commedia fu scritta da Eduardo, all’età di 22 anni, per il fratellastro Vincenzo Scarpetta e messa in scena nel 1924 con il titolo Ho fatto il guaio?Riparerò! Successivamente, il 23 febbraio 1933, fu rappresentata dalla compagnia di Eduardo “Teatro Umoristico I De Filippo” con il titolo definitivo di Uomo e galantuomo.
Opera corale estremamente importante nella produzione eduoardiana, si distacca dal teatro di Scarpetta, perché i suoi personaggi principali – come sottolineato da Geppy Gleijeses – “sono un’evoluzione di Sciosciammocca, a sua volta evoluzione di Pulcinella senza maschera!”. E – come precisato dagli attori – “è difficile da rappresentare perché parole e tempi comici sono scanditi da ritmi che seguono rigide regole matematiche”.
Sua protagonista è una scalcagnata compagnia teatrale scritturata per rappresentazioni in uno stabilimento balnerare.
Grazie al classico espediente della commedia degli equivoci è un vero e proprio teatro nel teatro. Così, ci si trova immersi in una serie di episodi irresistibilmente divertenti (in particolare, la scena del suggeritore maldestro che, continuamente frainteso dagli attori, ne combina di tutti i colori) in cui intrecci amorosi si incrociano con finta pazzia per evitare galera e duelli.
In scena – in questo spettacolo divertente e brillante – il grande Geppy Gleijeses (allievo di Eduardo dal quale ricevette il permesso a rappresentare le sue opere) e i bravissimi Lorenzo Gleijeses e Ernesto Mahieux. Al loro fianco altri valentissimi attori. Il regista è Armando Pugliese che ha diretto più volte opere di Eduardo.