Otto persone vengono invitate da un certo signor Owen ad un incontro in una piccola isola deserta. Ad accoglierli due domestici assunti per l’occasione. Il padrone di casa non c’è. Durante la cena una misteriosa voce proveniente da un grammofono, accusa tutti di crimini mai perseguiti dalla legge. Tutti si difenderanno. Poi… un susseguirsi di morti e la scomparsa progressiva delle statuine (inizialmente dieci) in bella vista sulla mensola del camino. Quella che rimarrà sarà testimone del segreto di quelle morti e del loro carnefice. Una vecchia filastrocca “E non rimase nessuno” – accompagna il tutto. Questa la trama di questo capolavoro – meglio conosciuto come Dieci piccoli indiani – che la stessa Agatha Christie considerava la più ardua delle sue opere.
La sua prima rappresentazione teatrale al 1943: in quella occasione il suo finale fu cambiato perché ritenuto troppo tragico. Invece – sottolinea la regista – nella sua messa in scena alla Sala Umberto “viene recuperato perché più aderente alle atmosfere di una fiaba noir che si evincono nell’opera letteraria della Christie. La struttura positivistica del giallo classico in cui la figura di un investigatore o di un eroe ripristina l’ordine delle cose portando alla luce la verità, qui viene sostituita da una crudele e ossessiva litania di una filastrocca che detta le regole di un gioco perverso, anticipando il modo in cui i personaggi dovranno far fronte al loro destino”.
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