BARTLEBY Racconto per suono e immagini al Brancaccino-Roma (25-27 novembre 2016)

 

BARTLEBY – Racconto per suono e immagini  (regia Claudia Sorace, drammaturgia e voce narrante Riccardo Fazi, video di Maria Elena Fusacchia, musiche originali V.L. Wildpanner, produzione Muta Imago, Festival Notafee)  ha debuttato al teatro Brancaccino di Roma il 25 novembre. E’ il  secondo capitolo della trilogia “Racconti americani, progetto che unisce tre “racconti per suoni e immagini”, ispirati ad altrettante opere letterarie, scritte tra il XIX e il XX secolo:

  • “Fare un fuoco” di Jack London (2015) – che,  nel presentare la vicenda di un uomo che cerca di sopravvivere al freddo dell’Alaska,  parla del conflitto tra l’uomo e la natura;

  •  “Bartleby” di Herman Melville (2016), che- con protagonista un giovane scrivano che da un certo momento in poi rifiuta di fare alcunché – ci racconta del conflitto tra uomo e società.

  •  “L’ospite ambizioso” di Nathaniel Hawthorne (2017) che – attraverso la tragica storia dell’incontro tra una famiglia e un ospite inatteso – affronta la questione del conflitto tra l’uomo e se stesso.

Ogni racconto prevede la realizzazione di un’installazione specifica che costituisce la superficie di proiezione. In “BARTLEBY” è un fondale che richiama nella forma il landscape caratteristico di New York; ma allo stesso tempo, nelle dimensioni e nel materiale di cui è costruito, ricorda il famigerato “screen”, il separé di legno che divide lo spazio di Bartleby da quello del suo capo, con cui condivide la stanza.

In BARTLEBY – ideato dalla compagnia Muta Imago (compagnia teatrale e progetto di ricerca artistica nato nel 2006., che  vive tra Roma e Bruxelles) –  un  anziano avvocato  racconta in prima persona la vicenda del suo incontro con “l’uomo più misterioso che avesse mai incontrato”:  Bartleby,  uno scrivano che ha assunto alle sue dipendenze e che, piano piano, inizia a stravolgergli il mondo. Pur credendo “fortemente nella presenza dell’attore in scena”, questo caso, si è preferito  far scomparire la figura del performer in carne e ossa, e far risuonare soltanto la sua voce,  “Si tratta di creare uno spazio onirico .. un vuoto che lo spettatore deve riempire con la sua immaginazione”. Insieme alla musica c’è lo stridio del pennino sul foglio, il ritmo dei timbri, lo scricchiolare delle sedie etc… il tutto è registrato, sia la musica sia la voce. Per Muta Imago “portare un lavoro video a teatro significa ri-aprire la fruizione cinematografica, ormai individualizzata e asettica, quasi televisiva, donarle di nuovo una modalità di fruizione condivisa ed emotiva, quale quella del teatro è.”

 

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